Come conciliare tutto se i risultati sperimentali e quelli reali non vanno d’accordo.
Recentemente la mia attenzione si è soffermata su un
articolo sul “Decision Making”, pubblicato su "
Journal of Cognitive Engineering and Decision Making", che conferma come le decisioni prese nelle situazioni reali siano diverse da quelle prese durante gli esperimenti scientifici.
Molti di noi diranno: “Eh, non è che ci voleva uno studio per dirlo.” In verità non è così semplice e non possiamo liquidare la situazione con superficialità. D’altronde una scienza degna di questo nome, non può e non deve “accontentarsi” delle risposte fornite solo in sede sperimentale.
È innegabile che le esperienze fatte in un contesto di sperimentazione siano comunque degne di nota e vadano prese per il valore che hanno: forniscono una risposta contestuale ad una domanda formulata in base a un’ipotesi fatta a priori. Per ottenere la risposta, si allestisce un contesto che aiuti, in maniera controllata, ad eseguire l’esperimento e porti al risultato.
La parte più debole del ragionamento è proprio quello: il contesto. Le situazioni sperimentali create per gli esperimenti, soprattutto quelli sul comportamento, proprio perché “controllate”, hanno in sé il germe del dubbio: se la situazione fosse differente, fosse “reale” anziché sperimentale, sarebbe tutto uguale o ci sarebbero differenze? La risposta non è scontata: alcune volte i risultati “reali” confermano quelli sperimentali, molte altre volte li smentiscono.
Se riporto queste considerazioni nel mio campo d’applicazione, lo sviluppo delle risorse umane, mi convinco sempre di più che c’è molto ancora da fare. Nelle attività di addestramento, istruzione, formazione e sviluppo, alla fase “sperimentale”, eseguita in un ambiente protetto, dovrebbe sempre seguire una fase “reale” sul campo, ambiente né protetto né controllato.
In questa fase, è essenziale il supporto di una persona esperta, che abbia già vissuto esperienze simili o sovrapponibili, che abbia chiaro cosa voglia dire fare una consulenza di processo, che abbia gli strumenti emozionali e linguistici per supportare il cliente. In questo modo, potrà fornire suggerimenti o spunti di ragionamento su come incrementare la performance.
Nei percorsi di coaching lo scopo è proprio questo: una volta capito l’obiettivo da raggiungere, s’inizia con degli esperimenti, delle azioni che il cliente mette in atto in un ambito protetto, proprio per sperimentare comportamenti nuovi senza temere risultati sgradevoli. Poi però il tutto deve essere trasferito nella realtà quotidiana, per consolidare l’apprendimento e per far “entrare nei muscoli” quello che inizialmente è solo nella testa.
Se la “buona scienza” ci dice che i risultati sperimentali non bastano, almeno nelle scienze umane, allora diamogli retta: usciamo nel mondo, perché è lì che si gioca la vera partita.