Quando ci relazioniamo con chiunque, nel messaggio che inviamo (e che riceviamo) esistono tre diversi componenti che ne determinano l’efficacia:
- le parole stesse (verbale)
- il tono e le altre componenti del nostro modo di parlare (para-verbale)
- il linguaggio del corpo, la gestualità, il look, … (non-verbale.)
A questo proposito, da anni si sente parlare di una “regola”, che di fatto regola non è, applicata alla capacità di comunicare efficacemente. Ma siccome sembra essere una bella storia, alcuni formatori, coach, consulenti, psicologi e “guru” del self-help, la continuano a divulgare come fosse una verità. Stiamo parlando della fantomatica
regola del 7% - 38% - 55%, che attribuirebbe le seguenti proporzioni:
- alla componente verbale una “importanza” pari al 7%
- alla componente paraverbale un 38%
- alla componente non verbale un 55%.
La domanda che sorge spontanea è: “
% di che cosa?” Cioè: “
Qual è il 100% di cui la parte verbale sarebbe solo il 7%?”
Partiamo dall’inizio e definiamo il contesto: le suddette proporzioni escono da alcune ricerche condotte alla fine degli anni ’60 dal Professor
Albert Mehrabrian dell’università UCLA. Nel “
Journal of Consulting Psychology”, 1967, Vol. 31. N°. 3, c’è uno studio intitolato “
Inferenze di atteggiamento dalla comunicazione non verbale in due canali”.
Già dal titolo capiamo che siamo lontano da qualcosa di completamente scientifico nel senso galileiano del termine: se parliamo di inferenza, abbiamo a che fare con le ipotesi, le probabilità, la lettura della mente, …
Lo studio era condotto per investigare in concetto di decodifica dell’
incongruenza comunicativa, ossia quanto uno dei canali di comunicazione (in questo caso il non verbale) pesasse nella decisione di affidabilità o meno rispetto a un altro canale (in questo caso il paraverbale).
Lo studio era così disegnato: fu registrata la voce di 3 donne mentre pronunciavano solo (sì, solo!) la parola “
forse”. Le donne dovevano variare il loro tono di voce per inviare messaggi di positività (intendendo “
…forse sì…”), neutralità e negatività (intendendo “
…forse no…”). Poi il nastro fu fatto ascoltare a 17 altre donne, con l’istruzione di immaginare che la “parlatrice” stesse rivolgendosi ad un’altra persona e di giudicare dal tono quale fosse il suo atteggiamento verso l’ascoltatore.
Fermiamoci un attimo e ragioniamo:
- avere una sola parola da dire non rappresenta la maggior parte delle interazioni comunicative con cui ci confrontiamo nella vita reale. La comunicazione è molto di più.
- In qualsiasi ricerca scientifica degna di questo nome, 17 (le persone che ascoltavano il nastro) non rappresenta un numero statisticamente significativo, a meno che sulla terra non si abbiano solo 17 persone in grado di comunicare.
- Nel disegno dello studio si chiede a 3 donne di simulare un atteggiamento verso qualcuno che non solo non era presente, ma che nemmeno esiste.
Andiamo avanti con lo studio:
Tre attrici (chissà se erano le stesse 3 "parlatrici” di prima o no) furono fotografate mentre usavano l’espressione facciale di apprezzamento (“
…mi piace…”), neutralità, oppure rifiuto (“
…non mi piace…”) verso un’altra persona. Le foto furono poi mostrate alle stesse 17 donne menzionate prima, proprio mentre venivano fatte ascoltare le registrazioni con la parola “
forse” nei 3 diversi toni. Ad ogni “frase-e-immagine”, le 17 donne dovevano dire quale fosse l’atteggiamento di questa fantomatica parlatrice (che adesso aveva anche un volto) verso l’ascoltatore.
Lo studio dimostrò (!) che l’espressione del viso fu “valutata” come rilevante circa 3 volte contro le 2 volte del tono (il 50% in più). Se facciamo la proporzione troviamo riscontro con le percentuali 38 (paraverbale) e 55 (non verbale).
Se già non bastasse quanto riportato finora, sulla fondatezza o meno dello studio e su quanto sia pericoloso divulgare dati inappropriate e inaccurate, vi rimandiamo al
prossimo post.