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La verità sul famigerato 7% - 38% - 55%

Evitare che la pseudoscienza diventi una fede (parte 2)

Nel post precedente abbiamo iniziato a trattare la famigerata “regola” del 7%-38%45%.
In questo post aggiungiamo il pezzo che ancora manca per avere l'informazione completa su come si è arrivati alla formulazione della "regola".

Il secondo studio del Prof. Mehrabian, intitolato “Decodifica di comunicazioni incoerenti” e pubblicato nel Journal of Personality and Social Psychology, 1967, Vol. 6, N° 1, intendeva confrontare tono di voce e contenuto verbale di una comunicazione in termini di congruenza.

Per la ricerca furono selezionate 9 parole: 3 con un’accezione positiva (“miele”, “grazie” e “caro”), 3 neutre (“forse”, “veramente” e “oh”) e 3 dall’accezione negativa (“non”, “brutale” e “terribile”).

Furono ingaggiate 2 donne (ma perché gli uomini in questi studi non vengono interpellati?) per leggere tutte le 9 parole con ciascuno dei 3 toni: positivo, neutrale e negativo nei confronti di un ascoltatore immaginario (ancora!).

Il tutto fu registrato e fatto ascoltare a 30 studenti dell’Università della California. A questi fu chiesto di giudicare l’atteggiamento della “parlatrice” nei confronti dell’ascoltatore immaginario.

  • Ad un terzo degli studenti fu chiesto di ignorare le informazioni inviate dal significato delle singole parole e di prestare attenzione solo al tono.
  • Ad un altro terzo fu chiesto di ignorare il tono e di prestare attenzione solo al significato delle singole parole.
  • All’ultimo terzo degli studenti fu chiesto di prestare attenzione sia al significato delle singole parole che al tono

I risultati mostrarono che gli effetti indipendenti del tono sulle valutazioni che gli studenti davano circa la congruenza o l’incongruenza, erano maggiori di circa 5 volte rispetto agli effetti indipendenti delle parole.

Mettendo insieme i risultati dei due studi, ecco che abbiamo le percentuali ormai famose di 7% per il contenuto verbale, 38% per il paraverbale (benché nello studio si parlasse solo di “tono”) e 55% per il non verbale (benché nello studio si prendesse in considerazione solo l’espressione del viso).

Chi si occupa di scienza sa che mescolare i risultati di due diversi studi può essere fatto solo in circostanze in cui i parametri di partenza siano gli stessi; strettamente controllati e quindi confrontabili. Quindi se pensiamo ai valori di Mehrabian, ci troviamo di fronte ad una conclusione non scientificamente fondata, inaccurata e inappropriata.

Per correttezza riportiamo le parole dello stesso Mehrabian, che si premurò di spiegare meglio alcuni razionali dei risultati ottenuti: “Vi prego di notare che questa ed altre equazioni inerenti l’importanza relativa dei messaggi verbali e non verbali, sono derivate da esperimenti sull’espressione di sensazioni e atteggiamenti (ad es.: mi piace - non mi piace). A meno che un comunicatore non stia parlando delle sue sensazioni e atteggiamenti, queste equazioni non sono applicabili”.

Tralasciamo altri commenti sul metodo dei due studi e le successive dispute e over-interpretazioni intorno ai risultati emersi. L’obiettivo unico in queste mie righe è mettere sull’avviso circa gli effetti che questi risultati hanno avuto e continuano ad avere sulle folle che popolano le aule di formazione e che seguono chi alimenta questa favola. Per fortuna ci sono professionisti e colleghi seri che sanno attribuire l’importanza che i risultati di queste ricerche meritano, e soprattutto sanno inserirle in un contesto stimolante e utile.

Dal mio punto di vista, da questi studi dobbiamo trarre il valore fondamentale che hanno le componenti di “forma” della comunicazione, cioè il paraverbale e il non verbale. In realtà, al naturale, ciascuno di noi ha una limitata capacità di controllare queste due componenti perché esse sono sotto il diretto controllo di parti del nostro cervello fatte per non essere facilmente “addomesticabili”. In effetti, solo chi ha fatto studi per diventare attore o cantante ha una certa capacità di modulare il proprio para verbale. E comunque, in una comunicazione “normale” nemmeno loro hanno la possibilità di controllare completamente come organizzare la voce.

Lo stesso, ma in misura maggiore, vale per il non verbale: chi può dire di riuscire a controllare le espressioni del viso? O i gesti nella loro interezza? E che dire del pallore, rossore, tremolio delle mani, respirazione accelerata, sudorazione? Queste ultime caratteristiche sono del non verbale a pieno titolo e le loro radici sono sepolte in grandi profondità del nostro cervello, alle dirette dipendenze delle nostre emozioni. E non sono controllabili, non almeno per i comuni mortali e non in uno scambio comunicativo “normale”, come possono essere i nostri scambi quotidiani.

Dobbiamo dare agli studi di Mehrabian e alle loro conclusioni la corretta rilevanza e non continuare a diffondere una teoria basata su situazioni limitate al solo laboratorio e non estendibile alla realtà della nostra comunicazione quotidiana.

Quello che possiamo trarre dagli studi, ma soprattutto dalla vita di tutti i giorni, è che,

  • in una comunicazione normale, gli aspetti di “forma” (paraverbale e non verbale) contano moltissimo, almeno quanto quelli di “contenuto” (verbale) e conviene tenerli in stretta considerazione quando dobbiamo valutare l’affidabilità delle cose che ci vengono dette.
  • Il “come” diciamo le cose conta molto (e non ci volevano studi per confermarcelo) quando vogliamo essere persuasivi, credibili e attenti ad aspetti di relazione con gli altri.
  • Il “cosa” diciamo ha una grande importanza ma per renderlo credibile ed accettabile deve essere sostenuto dalle componenti di forma che gli danno forza e sostanza

Tutto questo scritto è per aumentare la conoscenza e per consolidare una cultura fondata su elementi il più possibile scientifici. Sono consapevole che la psicologia e la comunicazione non possono essere annoverate tra le scienze “dure”, cioè fondate sulla matematica e sul concetto galileiano di scienza (sperimentazione con risultati sempre uguali e verificabili oggettivamente). Non per questo siamo autorizzati a prendere qualsiasi cosa come oro colato, evitandoci il disturbo di controllare le fonti e fare noi stessi degli esperimenti validi.

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