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Buoni propositi veramente “buoni”!

Tecniche per mantenere i nostri buoni propositi

Alcuni studi sostengono che l’88% di chi si propone di cambiare una propria abitudine non più funzionale, fallisce. Altri studi, sempre sullo stesso tema, sostengono che la percentuale arrivi addirittura il 92%. 

Uno studio condotto nel 1985 all’Università di Scranton (Pennsylvania) arriva a numeri ancora inferiori. In questa ricerca 213 studenti promisero a se stessi che avrebbero cambiato qualche abitudine nei dodici mesi successivi. Solo che lo dovevano comunicare ai ricercatori. Il risultato è che il 60% ha abbandonato il suo buon proposito entro i primi sei mesi. Su parte del restante 40% si nutrono alcuni dubbi, considerando l’ipotesi non verificabile che qualcuno abbia falsato i risultati, non ammettendo l’interruzione del programma di cambiamento.

Perché succede tutto questo? Per una serie di fattori ma soprattutto perché non consideriamo che le abitudini di almeno dodici mesi (per non dire, di molti anni!) sono veramente difficili da smantellare, per i più.

E se provassimo a capire un po’ meglio come si forma un’abitudine, potremmo trarne vantaggio? Proviamoci.

La grande generalizzazione

Le abitudini sono un vero e proprio processo di “generalizzazione” compiuto dal nostro cervello: una cosa ci viene facile, sembra non nuocerci, l’abbiamo fatto una volta e ha avuto un certo successo…quindi, perché non ripeterla? Generalizziamo, ci creiamo arbitrariamente una regola a partire da uno o pochi eventi, auspicando lo stesso risultato avuto in precedenza.

Se ripetiamo queste azioni per un numero sufficiente di volte, sempre allo stesso modo e sempre nella stessa situazione, diventano abitudini e si radicano nella parte inconscia della nostra mente. Allacciarsi le cinture di sicurezza, il modo in cui scendiamo dal letto, o come ci annodiamo i lacci delle scarpe, sono azioni che non richiedono nessuno sforzo consapevole, sono comportamenti automatici. Gli insegnamenti e gli esempi ricevuti, l’economia nel comportamento e l’istinto di sopravvivenza hanno plasmato molte nostre abitudini e tutte hanno una cosa in comune: c’è un punto d’avvio, qualcosa che scatta e innesca automaticamente il comportamento.

È possibile che lo stesso, meccanismo si attivi anche per i comportamenti non salutari o addirittura nocivi?

Click!

Che cosa succede un attimo prima che ti accendi la sigaretta? Che cosa accade nella tua testa che ti impedisce di indossare le scarpe da corsa e farti i tuoi chilometri programmati? E perché al buffet non riesci più a fermarti, come se non mangiassi da millenni? Qual è il “click”, il momento immediatamente precedente al comportamento che vuoi cambiare?

Ecco un esercizio utile da fare: pensa a quello che vuoi cambiare (smettere di fumare, fare attività fisica regolare, …) e trova cosa accade nella mente immediatamente prima. Se bevi il caffè, la sigaretta quasi si accende da sola? Ecco un interessante spunto per diminuire i caffè, o per cambiare bar… sì perché il “click” va cercato non solo in qualcosa che pensi ma anche in qualcosa che fai, che poi innesca il pensiero.

Cerca le cose che vedi, che senti, che percepisci col corpo, movimenti oppure odori o sapori tipici… Insomma qualcosa che abbia una base nei sensi.

Una volta identificata la radice, prova a cambiare qualcosa “immediatamente dopo il click” e osserva cosa succede… Probabilmente qualcosa all’inizio stonerà, il contesto è cambiato e con esso i risultati. Se viene fatto più volte, quello che accade dopo il click sarà un nuovo comportamento, che, ripetuto un numero sufficiente di volte, darà adito a una nuova abitudine.

Il fuoco sotto la cenere

Identificata la radice, abbiamo a portata di mano (e di testa) il cambiamento. Attenzione però a evitare un classico errore: tentare di sopprimere del tutto il comportamento che non vogliamo più. In realtà succede che questo tentativo per lo più innesca un “effetto rimbalzo”, in cui, una volta giunti a un alto livello di stress, tendiamo a ricominciare con la “vecchia” abitudine, ma addirittura più intensamente e con ripercussioni anche sull’umore e sulle credenze che poi tendono a consolidarsi (tipo: non è per me; non ce la farò mai, …)

Proviamo invece a sostituire l’abitudine che non vogliamo più con una differente e percepita come migliore. Ad esempio, sto troppo tempo (quanto?) su internet? Posso provare a stare meno tempo e sfruttare questo tempo per trovare, proprio su internet, qualcosa che mi sia utile (un corso, una lettura, un gioco, …).

Il beneficio maggiore

Certo, facile a dirsi, mugugneranno molti di noi, me compreso, ve lo assicuro. La vecchia abitudine ci strizza l’occhiolino comunque… Ecco perché neuroscienziati, psicologi e psichiatri hanno definito alcune altre strategie e tattiche che consistono nel correlare una specifica situazione con una specifica azione.

Una prima possibilità, abbastanza profonda e che richiede un supporto esterno “esperto” è quella di chiedersi: “A quale dei miei ‘valori’, a quale dei miei ‘bisogni profondi’ l’abitudine che voglio scalzare cerca di dare soddisfazione?” Si tratta di esplorarsi nel profondo e di emergere con una risposta onesta e chiara. Una volta fatto questo, abbiamo due opzioni: 

1) Si prosegue l’azione di smantellamento, cercando un comportamento di sostituzione, più positivo e che vada anch’esso a soddisfare lo stesso bisogno su cui faceva leva il “vecchio” comportamento. Ad esempio, se passo molte ore davanti la tv “perché così mi rilasso”, proviamo a rispondere alla domanda: “Cos’altro potrei fare per rilassarmi che non sia stare davanti la tv?”
2) Si cerca un “valore superiore” a quello che innesca il comportamento da cambiare, così da creare una pulsione per qualcosa di più positivo, una leva di motivazione superiore che possa rinforzare il proprio auto controllo nei momenti di debolezza. Ad esempio, se “…non mi va di andare in palestra perché sudo e mi stanco, e poi il giorno dopo chi ce la fa ad alzarsi per andare al lavoro!...” possiamo trovare un valore superiore, tipo “Essere e mantenersi in salute” oppure “Bisogno di socializzare” che ci aiutino a superare il blocco del momento.

Lotta tra titani

Tra le possibilità che altri esperti trovano utili per cambiare un comportamento radicato c’è quella di darci delle opzioni tra cui scegliere. Ad esempio: 

Fermo restando che dopo la maggior parte dei caffè che berrò durante il giorno, mi accenderò la sigaretta, solo dopo il primo caffè della mattina e il primo del pomeriggio, decido di non accendermi la sigaretta. 
Se mi venisse voglia di fumare subito dopo il primo caffè della mattina e il primo del pomeriggio, allora sostituirò quelle sigarette con un bastoncino di liquerizia. 
Se invece non mi dovesse venire voglia della sigaretta in quei momenti, semplicemente non me la accendo”.

Ogni volta che si riesce ad aderire a questa nuova possibilità, otteniamo due risultati:

1) Capiamo che possiamo “controllare” il nostro comportamento senza ricadere nei soliti automatismi.
2) Il comportamento di sostituzione acquista forza e ci fornisce un’alternativa via via più praticabile

Certo, i due comportamenti saranno in competizione per un po’ e l’esito rimane non sempre certo. Ma se abbiamo sentito l’esigenza di dover cambiare un comportamento che non gradiamo più, possiamo concentrarci su come esasperare gli effetti negativi della “vecchia” abitudine (creando un effetto di repulsione) e su come osannare gli aspetti positivi del nuovo comportamento.

Il nostro buon aiutante

Un'altra tecnica consiste nel comunicare a qualcun altro, molto vicino a noi, cosa vogliamo fare, chiedendogli anche di verificare a scadenze regolari come sta andando il nostro proposito. In questo caso giochiamo sulla coerenza e sull’impegno che ci prendiamo con un’altra persona, che gioca il ruolo sia di “censore”, sia di “partner”.

Cambiare abitudini è un esercizio di consapevolezza e disciplina, qualcosa di non semplice ma abbiamo la possibilità di riuscirci. L’accortezza sta nell’allenarsi al cambiamento: cominciamo con piccole e innocue abitudini e cambiamole coscientemente, per il solo scopo di cambiarle e di “rinforzarsi i muscoli”. Sarà quindi più facile poi aggredire le abitudini più persistenti.

In queste poche righe abbiamo descritto alcune possibile tecniche per innescare un cambiamento. Ne esistono molte altre e un buon coach saprebbe cosa proporre e come supportare il proprio cliente, personalizzando l'esercizio esattamente sulle sue esigenze individuali. intanto questo è un buon inizio.

Fonti:
Pubblicazione originale della ricerca menzionata nel testo: http://www.changeologybook.com/wp-content/uploads/2012/07/ringing-in-the-new-year.pdf
“Blame it on the brain” di Jonah Lehreh: http://online.wsj.com/article/SB10001424052748703478704574612052322122442.html
Le statistiche dei buoni propositi di fine anno 2012 negli USA: http://www.statisticbrain.com/new-years-resolution-statistics/

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